Gran Zebrù dal Rifugio Gianni Casati

Gran Zebrù dal Rifugio Gianni Casati
Gran Zebrù
Gran Zebrù

Il Gran Zebrù (Königsspitze in tedesco) è una montagna di 3857 m s.l.m. nel gruppo Ortles-Cevedale, di cui è la seconda vetta per altezza dopo l’Ortles, davanti al Cevedale, ed è anche la seconda vetta più alta del Trentino-Alto Adige.

Il Gran Zebrù è il secondo punto più elevato, dopo l’Ortles stesso, della regione Trentino-Alto Adige. Il confine tra quest’ultima e la Lombardia (provincia di Sondrio per essere precisi) passa esattamente per la cima, facendo di essa la più elevata vetta “lombarda” del massiccio, e tra le più alte della regione, superata solo da alcuni picchi del gruppo del Bernina.

Rispetto alla vetta dell’Ortles, cima principale del gruppo, il Gran Zebrù si innalza circa quattro chilometri a sud-est, lungo la dorsale principale del massiccio che dal Monte Cristallo (3434 m) conduce sino al Cevedale (3769 m).

Il suo profilo affilato domina due valli di alta quota: la Val Zebrù sul versante valtellinese, tributaria della bassa Valfurva in cui confluisce a est di Bormio, e la Valle di Solda (Suldental) sul versante tirolese, tributaria della Val Venosta.

Morfologia del rilievo e note geologiche
La vetta del Gran Zebrù è costituita, come peraltro le vicine vette dell’Ortles e del Monte Zebrù, da una roccia molto resistente all’erosione, la Dolomia Principale, lievemente metamorfosata. Essa poggia su un basamento cristallino, costituito prevalentemente da filladi. Piuttosto compatta, la dolomia dà origine a formazioni ardite e rilievi scoscesi: la cima del Gran Zebrù è una piramide piuttosto regolare i cui spigoli hanno un’inclinazione superiore ai 45 gradi.

Il nome e la leggenda
La montagna, situata esattamente sul confine tra la Valtellina e il Tirolo, e quindi tra la Lombardia e l’Alto Adige, ha due nomi che si affiancano nella cartografia ufficiale, uno insubre, poi adottato anche in italiano (Gran Zebrù) e uno tedesco (Königsspitze, che significa cima del Re).

I due nomi, che apparentemente non danno adito a nessuna correlazione tra di essi, sono in realtà legati da una leggenda che affonda le sue origini sino al medioevo, che parla appunto di un sovrano, Johannes Zebrusius, chiamato “il Gran Zebrù”, feudatario nel XII secolo della Gera d’Adda (territorio realmente esistente, oggi in provincia di Bergamo). Johannes si innamorò (ricambiato) di Armelinda, figlia di un castellano del Lario, il quale però si opponeva alla loro relazione. Al fine di fare colpo agli occhi del padre di lei e convincerlo a dargli la figlia in sposa, Johannes prese parte a una crociata in Terrasanta, rimanendovi per quattro anni.

Al suo ritorno però ebbe una sgradita sorpresa: il padre di Armelinda non solo non aveva cambiato parere, ma addirittura aveva concesso in sposa la figlia a un nobile milanese. Costernato e depresso Zebrusius decise di abbandonare il suo feudo e l’arte della guerra e recarsi in montagna, dove avrebbe vissuto da eremita, scegliendo come dimora la val Zebrù, dominata dalla montagna. Lì visse in solitudine per trent’anni e un giorno, cercando di dimenticare il passato con la meditazione e la preghiera, e quando sentì che stava giungendo la sua ora si sdraiò su un tronco collegato a un congegno di sua invenzione, che fece precipitare sul suo corpo un grande masso bianco, sul quale egli aveva precedentemente inciso “Joan(nes) Zebru(sius) a.d. MCCVII”. Tale masso è visibile ancora oggi, al limite inferiore del Ghiacciaio della Miniera.

Lo spirito del sovrano, purificato dal dolore e da anni di privazioni, salì sino sulla vetta della montagna che divenne il castello degli spiriti meritevoli, del quale l’anima di Zebrusius è il re.

La leggenda e l’origine del nome italiano (e lombardo) della montagna si intrecciano. È probabile infatti che il nome Zebrù (che identifica anche un’altra vetta poco lontana, il Monte Zebrù) derivi dalla radice celtica se (spirito buono, santo) e dal termine brugh, anch’esso celtico, che significa rocca o fortezza, “castello degli spiriti buoni”, appunto.
Altre ricerche etimologiche però farebbero derivare il nome Zebrù dal latino super, cioè sopra, più in alto di qualsiasi altra montagna, la cima più alta (quando né l’Ortles né il Gran Zebrù erano ancora stati misurati è probabile che si ritenesse che quest’ultimo fosse il più elevato del massiccio).

Infine, nonostante la leggenda stessa possa indurlo a pensare, non vi è alcuna relazione tra di essa e il nome tedesco della montagna. Königsspitze e Königswand sembrano derivare da un errore dei topografi austriaci nel trascrivere il nome tirolese, Cunìgglspizze, che non avrebbe a che fare con König (re, sovrano) bensì con Könich, ossia cunicolo (il versante altoatesino della montagna è scavato da diverse miniere). Una seconda ipotesi fa comunque derivare il nome realmente dall’autorità regale, essendo la montagna posta al confine fra l’ex contea del Tirolo e il regno della Lombardia. Inoltre la forma dialettale venostana per “König” è “Kiini” (e Kiiniwant per “Königswand”), e gli etimi König e Kaiser (imperatore) ricorrono abbastanza spesso nella toponomastica montanara (sud) tirolese.

L’impresa di Diemberger
La Meringa di ghiaccio (la Schaumrolle in tedesco) era un curioso ghiacciaio pensile formatosi alla sommità della parete nord (Königswand). Considerato estremamente difficile da scalare, data la sua pendenza strapiombante, fu superato nel 1956 da uno dei più famosi alpinisti del XX secolo, Kurt Diemberger, dopo aver salito la parete nord, aperta però nell’800 da Minnigerode e ripetuta, seguendo però un percorso diverso, da Ertl e Brehms nel 1930.

Egli la tentò prima con A. Morocutti e si fermò per il sopraggiungere delle tenebre a 15 metri dalla sommità, sotto il salto più sporgente ed inconsistente. Una settimana dopo egli torno sulla Meringa tramite un difficile traverso dalla Suldengrat e si legò insieme a Knapp e Unterweger, occasionalmente conosciuti a Solda, che ripetevano la diretta Ertl. La salita divenne leggendaria e rappresentò la più grande realizzazione in ghiaccio fino a quel momento, con uso sistematico di chiodi lunghi e di staffe, definito ” VI grado in ghiaccio”.

Oggi la meringa di ghiaccio non esiste più. Collassò nell’estate del 2001 a causa dell’enorme peso dovuto alle eccezionali nevicate di quell’inverno, provocando una slavina che però non causò né vittime né danni.

Gran Zebrù. (17 novembre 2021). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 27 giugno 2022, 08:44 da it.wikipedia.org

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