Tre Cime di Lavaredo dalla Malga Langalm

Tre Cime di Lavaredo dalla Malga Langalm
Tre Cime di Lavaredo dalla Malga Langalm

Le Tre Cime di Lavaredo (Drei Zinnen in tedesco; Tré Thìme in ladino cadorino) sono le cime più famose delle Dolomiti, al confine tra il territorio del Comune di Auronzo di Cadore e quello delle Dolomiti di Sesto nel comune di Dobbiaco, considerate tra le meraviglie naturali più note nel mondo dell’alpinismo, con la Cima Grande che rappresenta una delle classiche pareti nord delle Alpi, e permettono la vista panoramica delle cime circostanti e del parco Naturale Tre Cime.

Le attestazioni più antiche del toponimo si riferiscono alle forme tedesche, tant’è che le denominazioni Dreyspiz (letteralmente “tre punte”), dreÿ Spitz e Zwain hohen Spizenn si riscontrano sin dal Cinque e Seicento. Nel famoso “Atlas Tyrolensis” del 1774 di Peter Anich e Blasius Hueber le cime sono indicate come 3 Zinnern Spize. Tuttavia le prove a supporto dell’origine tedesca del toponimo sono piuttosto scarne.

Fra il 1915 e il 1917 le vette delle Lavaredo costituirono il fronte di guerra. Di questo periodo rimangono ancora evidenti resti (trincee, gallerie, baraccamenti) sul massiccio e sul vicino monte Paterno.

Il 9 luglio 1974 cadde tra le Tre Cime e il monte Paterno un elicottero Bell 206 dell’Esercito Italiano (sigla “EI613”), pilotato dal Capitano Pier Maria Medici dell’ALE. A bordo inoltre vi erano due Ufficiali di SM della Brigata alpina “Tridentina” (Ten. Col. Renzo Bulfone Ca. S.M. della Brigata e il Magg. Gianfranco Lastri Capo Ufficio OAIO). A memoria dell’incidente, tra i due monti si trova una lapide commemorativa, composta anche dalle stesse pale dell’elicottero.

Le Tre Cime di Lavaredo assomigliano vagamente a tre dita, che puntano verso il cielo compatte, armonicamente allineate, apprezzate dagli estimatori per forme e colori.

Il gruppo è attraversato dall’alta via n. 4, detta di Grohmann.

Le Tre Cime sono composte da:
la più alta è la Grande, ossia la centrale (2.999 m s.l.m.);
la seconda è la Cima Ovest (2.973 m);
la Cima Piccola è la più bassa (2.857 m).

In un intorno delle Tre Cime di Lavaredo, l’attuale confine tra il Comune di Dobbiaco in Provincia di Bolzano e il Comune di Auronzo di Cadore in Provincia di Belluno, rideterminato in seguito alla Grande Guerra, coincide con quello tra il Sacro Romano Impero e la Serenissima stabilito nel 1752 con il Trattato di Rovereto da Maria Teresa d’Austria e dal doge Francesco Loredan. Esso passa esattamente sopra la cresta delle Tre Cime e cade a piombo verso terra. Le celebri pareti Nord si possono ammirare dal Comune di Dobbiaco. Le possenti pareti Sud sono ben visibili sin dal centro di Auronzo, mentre da Misurina compare il lato Sud-Ovest che sembra curiosamente privo della Cima Piccola.

In precedenza al Trattato di Rovereto, le Tre Cime di Lavaredo erano completamente contenute nel comprensorio di Auronzo, all’epoca più esteso di oggi e comprendente vari territori al di là dello spartiacque alpino sotto il dominio di Venezia: a titolo di esempio il confine inglobava una parte dell’attuale Parco Naturale Tre Cime, la Val Rinbon, e giungeva fino alle “Pale di Rivis”, ovvero, partendo dal Rifugio Locatelli proseguiva sulla Torre dei Scarperi e oltrepassava il Monte Rudo.

I punti panoramici più conosciuti sono quelli che si possono ottenere dalla val di Landro, presso il vecchio paese (ora al suo posto c’è un albergo) dove si ha un profilo laterale delle Tre Cime, oppure dal rifugio Auronzo o ancora dal rifugio Antonio Locatelli. Ma forse la vista migliore delle Tre Cime si ha dal monte Piana e dalla cima di alcune vette, che si ergono nelle sue vicinanze, come la Torre di Toblin o il monte Paterno.

Per stabilire il confine territoriale tra i comuni di Dobbiaco e Auronzo, una leggenda descrive la storia che due giovani ragazze (secondo altre versioni due vecchie) partirono dai due rispettivi comuni al canto del gallo. La donna di Auronzo, non vista, punse il pennuto in modo da anticipare il canto e iniziare prima la camminata. Grazie a questo stratagemma, il confine è quindi posto più a nord dello spartiacque, presso il ponte della Marogna.

Nel 1743 venne consacrata la chiesa delle Grazie di Auronzo dove ancora oggi si può osservare una croce in ferro battuto con alla sua cima un gallo che presenta 3 buchi in pancia, in ricordo dei 3 colpi di spillo ricevuti durante la notte.

Tre Cime di Lavaredo. (2 luglio 2022). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 7 luglio 2022, 12:17 da it.wikipedia.org

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Gran Zebrù dal Rifugio Gianni Casati

Gran Zebrù
Gran Zebrù

Il Gran Zebrù (Königsspitze in tedesco) è una montagna di 3857 m s.l.m. nel gruppo Ortles-Cevedale, di cui è la seconda vetta per altezza dopo l’Ortles, davanti al Cevedale, ed è anche la seconda vetta più alta del Trentino-Alto Adige.

Il Gran Zebrù è il secondo punto più elevato, dopo l’Ortles stesso, della regione Trentino-Alto Adige. Il confine tra quest’ultima e la Lombardia (provincia di Sondrio per essere precisi) passa esattamente per la cima, facendo di essa la più elevata vetta “lombarda” del massiccio, e tra le più alte della regione, superata solo da alcuni picchi del gruppo del Bernina.

Rispetto alla vetta dell’Ortles, cima principale del gruppo, il Gran Zebrù si innalza circa quattro chilometri a sud-est, lungo la dorsale principale del massiccio che dal Monte Cristallo (3434 m) conduce sino al Cevedale (3769 m).

Il suo profilo affilato domina due valli di alta quota: la Val Zebrù sul versante valtellinese, tributaria della bassa Valfurva in cui confluisce a est di Bormio, e la Valle di Solda (Suldental) sul versante tirolese, tributaria della Val Venosta.

Morfologia del rilievo e note geologiche
La vetta del Gran Zebrù è costituita, come peraltro le vicine vette dell’Ortles e del Monte Zebrù, da una roccia molto resistente all’erosione, la Dolomia Principale, lievemente metamorfosata. Essa poggia su un basamento cristallino, costituito prevalentemente da filladi. Piuttosto compatta, la dolomia dà origine a formazioni ardite e rilievi scoscesi: la cima del Gran Zebrù è una piramide piuttosto regolare i cui spigoli hanno un’inclinazione superiore ai 45 gradi.

Il nome e la leggenda
La montagna, situata esattamente sul confine tra la Valtellina e il Tirolo, e quindi tra la Lombardia e l’Alto Adige, ha due nomi che si affiancano nella cartografia ufficiale, uno insubre, poi adottato anche in italiano (Gran Zebrù) e uno tedesco (Königsspitze, che significa cima del Re).

I due nomi, che apparentemente non danno adito a nessuna correlazione tra di essi, sono in realtà legati da una leggenda che affonda le sue origini sino al medioevo, che parla appunto di un sovrano, Johannes Zebrusius, chiamato “il Gran Zebrù”, feudatario nel XII secolo della Gera d’Adda (territorio realmente esistente, oggi in provincia di Bergamo). Johannes si innamorò (ricambiato) di Armelinda, figlia di un castellano del Lario, il quale però si opponeva alla loro relazione. Al fine di fare colpo agli occhi del padre di lei e convincerlo a dargli la figlia in sposa, Johannes prese parte a una crociata in Terrasanta, rimanendovi per quattro anni.

Al suo ritorno però ebbe una sgradita sorpresa: il padre di Armelinda non solo non aveva cambiato parere, ma addirittura aveva concesso in sposa la figlia a un nobile milanese. Costernato e depresso Zebrusius decise di abbandonare il suo feudo e l’arte della guerra e recarsi in montagna, dove avrebbe vissuto da eremita, scegliendo come dimora la val Zebrù, dominata dalla montagna. Lì visse in solitudine per trent’anni e un giorno, cercando di dimenticare il passato con la meditazione e la preghiera, e quando sentì che stava giungendo la sua ora si sdraiò su un tronco collegato a un congegno di sua invenzione, che fece precipitare sul suo corpo un grande masso bianco, sul quale egli aveva precedentemente inciso “Joan(nes) Zebru(sius) a.d. MCCVII”. Tale masso è visibile ancora oggi, al limite inferiore del Ghiacciaio della Miniera.

Lo spirito del sovrano, purificato dal dolore e da anni di privazioni, salì sino sulla vetta della montagna che divenne il castello degli spiriti meritevoli, del quale l’anima di Zebrusius è il re.

La leggenda e l’origine del nome italiano (e lombardo) della montagna si intrecciano. È probabile infatti che il nome Zebrù (che identifica anche un’altra vetta poco lontana, il Monte Zebrù) derivi dalla radice celtica se (spirito buono, santo) e dal termine brugh, anch’esso celtico, che significa rocca o fortezza, “castello degli spiriti buoni”, appunto.
Altre ricerche etimologiche però farebbero derivare il nome Zebrù dal latino super, cioè sopra, più in alto di qualsiasi altra montagna, la cima più alta (quando né l’Ortles né il Gran Zebrù erano ancora stati misurati è probabile che si ritenesse che quest’ultimo fosse il più elevato del massiccio).

Infine, nonostante la leggenda stessa possa indurlo a pensare, non vi è alcuna relazione tra di essa e il nome tedesco della montagna. Königsspitze e Königswand sembrano derivare da un errore dei topografi austriaci nel trascrivere il nome tirolese, Cunìgglspizze, che non avrebbe a che fare con König (re, sovrano) bensì con Könich, ossia cunicolo (il versante altoatesino della montagna è scavato da diverse miniere). Una seconda ipotesi fa comunque derivare il nome realmente dall’autorità regale, essendo la montagna posta al confine fra l’ex contea del Tirolo e il regno della Lombardia. Inoltre la forma dialettale venostana per “König” è “Kiini” (e Kiiniwant per “Königswand”), e gli etimi König e Kaiser (imperatore) ricorrono abbastanza spesso nella toponomastica montanara (sud) tirolese.

L’impresa di Diemberger
La Meringa di ghiaccio (la Schaumrolle in tedesco) era un curioso ghiacciaio pensile formatosi alla sommità della parete nord (Königswand). Considerato estremamente difficile da scalare, data la sua pendenza strapiombante, fu superato nel 1956 da uno dei più famosi alpinisti del XX secolo, Kurt Diemberger, dopo aver salito la parete nord, aperta però nell’800 da Minnigerode e ripetuta, seguendo però un percorso diverso, da Ertl e Brehms nel 1930.

Egli la tentò prima con A. Morocutti e si fermò per il sopraggiungere delle tenebre a 15 metri dalla sommità, sotto il salto più sporgente ed inconsistente. Una settimana dopo egli torno sulla Meringa tramite un difficile traverso dalla Suldengrat e si legò insieme a Knapp e Unterweger, occasionalmente conosciuti a Solda, che ripetevano la diretta Ertl. La salita divenne leggendaria e rappresentò la più grande realizzazione in ghiaccio fino a quel momento, con uso sistematico di chiodi lunghi e di staffe, definito ” VI grado in ghiaccio”.

Oggi la meringa di ghiaccio non esiste più. Collassò nell’estate del 2001 a causa dell’enorme peso dovuto alle eccezionali nevicate di quell’inverno, provocando una slavina che però non causò né vittime né danni.

Gran Zebrù. (17 novembre 2021). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 27 giugno 2022, 08:44 da it.wikipedia.org

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Vedrette di Ries

Vedrette di Ries
Vedrette di Ries

Le Vedrette di Ries (in tedesco Rieserferner-Gruppe o solo Rieserferner) sono un gruppo montuoso che si trova lungo la linea di confine tra l’Italia e l’Austria. In Italia interessano la provincia autonoma di Bolzano; in Austria il Tirolo. Sono inserite nel Parco naturale Vedrette di Ries-Aurina.

Secondo la SOIUSA le vedrette di Ries sono un supergruppo alpino ed hanno la seguente classificazione:

Grande parte = Alpi Orientali
Grande settore = Alpi Centro-orientali
Sezione = Alpi dei Tauri occidentali
Sottosezione = Alpi Pusteresi
Codice = II/A-17.III-A
Secondo la classificazione tedesca dell’AVE costituiscono il gruppo n. 37 di 75 nelle Alpi Orientali.

Le vedrette di R. sono delimitate:

a nord dal passo Gola (2.291 m)
a nord-est dalla Defereggental
ad est dal passo Stalle
a sud-est dalla valle di Anterselva
a sud dalla val Pusteria
ad ovest dalla val di Tures
a nord-ovest dalla val di Riva.

Monti principali
Monte Collalto – 3.436 m
Monte Nevoso – 3.358 m
Monte Collaspro – 3.273 m
Lenkstein – 3.226 m
Croda Nera – 3.105 m
Cima del Vento Grande – 3.041 m

Per facilitare la salita alle vette e l’escursionismo di alta montagna le vedrette sono dotate di alcuni rifugi alpini:
rifugio Vedrette di R. – 2.792 m
rifugio Roma alle Vedrette di R. – 2.276 m
rifugio Brigata Tridentina – 2441 m

Vedrette di Ries. (12 agosto 2020). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 20 giugno 2022, 10:47 da it.wikipedia.org

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